Buongiorno,
questo blog nasce dall’esigenza di archiviare e rendere disponibili informazioni, pensieri e idee (elaborate o semplicemente riportate), acquisite durante uno studio sulla filosofia zen. Considerandolo, più che una guida, una raccolta di nozioni che partendo dallo zen ne vanno oltre.
Durante il lavoro di ricerca, infatti, ho riscontrato moltissime analogie tra i concetti espressi dai vari insegnamenti spirituali e le principali scoperte in campo scientifico.
La nostra mente, invero, per snellire il lavoro di calcolo sull’enorme quantità di stimoli, provenienti sia dall’interno sia dall’esterno, sfrutta dei percorsi prestabiliti a basso dispendio energetico e di maggiore velocità di esecuzione. Tali scorciatoie, fondamentali per reagire nell’immediato alle varie situazioni, molto spesso, ci portano a conclusioni che vanno a discapito della precisione, dandoci una proiezione approssimativa e irrazionale di come in realtà le cose stanno.
I contenuti qui riportati, spero siano utili a dare uno stimolo al pensiero, lasciando ovviamente libera la facoltà di trarre le proprie conclusioni in maniera assolutamente indipendente e soggettiva.
“Un lungo viaggio, inizia sempre con il primo passo…..”
(proverbio zen).

giovedì 10 novembre 2011

..."UNA RETE, NON E' NIENT'ALTRO CHE UNA SERIE DI BUCHI TENUTI INSIEME DA UN FILO"... Karl Wallenda.

Le relazioni spaziali tra gli oggetti che ci circondano nel nostro microcosmo quotidiano, nel macroambiente delle posizioni geografiche e le proprietà spaziali di tali oggetti (come forma e dimensione), sono un tema di ricerca privilegiato per quei settori delle scienze cognitive che mirano a rappresentare fedelmente le risorse delle facoltà umane.

Gran parte del nostro comportamento è descrivibile in termini spaziali: pianifichiamo azioni, cerchiamo di eseguirle secondo i nostri piani (eventualmente superando ostacoli imprevisti), ne controlliamo lo svolgimento attraverso un sofisticato sistema percettivo che, evidentemente, dispone di una componente non secondaria per la rappresentazione spaziale e il riconoscimento delle forme (possiamo parlare di quel che percepiamo come organizzato spazialmente, e riusciamo ad immaginare una situazione spaziale sulla base di una descrizione verbale).

Questi comportamenti, spesso, sono coadiuvati da ragionamenti e deduzioni: "Se il cucchiaio è nella tazza e la tazza è nella credenza, il cucchiaio è nella credenza".Se ci si chiede di accertare se il cucchiaio è effettivamente nella credenza, abbiamo bisogno di comprendere quello che ci viene chiesto, di progettare un’azione di verifica, di osservare una certa relazione spaziale, di produrre una certa conclusione, e, il contenuto di queste diverse competenze deve poter fluire dall’una all’altra attività mantenendosi (abbastanza) invariato.

Proveremo ora a chiarire questi concetti, prendendo come riferimento il bizzarro esempio fornitoci dalla singolare eccentricità dei “buchi”.

Questo paradosso si verifica quando la parte di un tutto possiede solo caratteristiche in negativo, ossia consiste in una non esistenza. Un buco non ha una realtà in se, non ha una componente fisica: è immateriale!  Appare come una sistematica illusione visiva, un’entità parassitaria, (non è nulla ma ha bisogno di un tutto per esistere).

I buchi sembrano appartenere alla nostra vita quotidiana almeno tanto quanto il groviera. Ma cosa sono? Come li si può pensare?, di cosa sono fatti? Molte delle operazioni che effettuiamo nello spazio hanno a che fare, in un modo o nell’altro, con buchi di tutti i tipi. Vi nascondiamo dentro delle cose, ve ne facciamo passare attraverso delle altre, li riempiamo, li svuotiamo, li usiamo per tenere fissi certi oggetti, e via dicendo. In molti casi, il concetto stesso che abbiamo di determinati oggetti (come i colapasta o lo stesso groviera) sembra evocare l’idea di qualcosa che è intrinsecamente bucato.

D’altro canto, i buchi, costituiscono un perfetto esempio di entità che i filosofi hanno cercato ( causa la loro inadeguata componente fisica) di espellere dall’elenco degli oggetti che fanno parte del mondo. Il “modus operandi” di questa strategia è stato quello di dimostrare che ogni descrizione del mondo che fa riferimento implicito o esplicito a queste entità ("C’è un buco in quel pezzo di formaggio") può essere parafrasata con pari potere espressivo da una descrizione che non vi fa riferimento ("Quel pezzo di formaggio è bucato"). Si tratta di un artifizio abbastanza comune, nelle sue linee generali, e nel caso dei buchi, sembra suggerirsi da solo.

Nel trattare questo settore delle rappresentazioni spaziali, abbiamo deciso di assegnare ai buchi una dignità metafisica. In questo naturalmente ci allineiamo sulle posizioni del senso comune, per cui i buchi sono entità individuali (per quanto strane) al pari dei tavoli e delle sedie. È un atteggiamento ben diverso da quello che possiamo assumere ad esempio nei confronti di essenze astratte come  i numeri, verso i quali, riusciamo ugualmente ad avanzare una posizione di realismo.

I buchi sembrano entrare nel nostro mondo con la massima naturalezza, perché, se esistono,ne possiedono anche le caratteristiche: sono localizzati spazio-temporalmente, nascono, crescono e muoiono. In breve: i buchi hanno un arco vitale come tutti gli individui che si rispettino.

Detto questo, la tesi su cui abbiamo lavorato è che i buchi siano oggetti immateriali, fatti di spazio, dotati di forma e dimensione, la cui proprietà costitutiva è la idoneità al riempimento. Dalla considerazione che i buchi sono oggetti immateriali segue che la loro identità è un fattore puramente visivo; di fatto, essa dipende dall’oggetto che ospita il buco: i buchi sono dei parassiti, per così dire, incapaci per natura di vita autonoma. Dal presupposto della costituzione spaziale dei buchi segue che essi posseggono una struttura descrivibile in termini di relazioni “parte-tutto”. Forma, dimensione e idoneità al riempimento, sono elementi che contribuiscono inoltre a fornire una classificazione dei buchi in tre categorie principali: incavi superficiali, fori, e cavità interne.

Non di secondaria importanza, risulta la constatazione che si ottiene seguendo la tesi del senso comune, secondo cui, queste tre classi formano tre specie di un unico genere.

È qui, infatti, che cominciano ad apparire i primi vantaggi derivati dell’approccio realista nei confronti di quello rigido filosofico finalizzato alla estromissione, di cui accennavamo sopra.

Senza entrare nei dettagli dell’argomentazione, diciamo semplicemente che è impossibile ottenere un risultato analogo se ci si riferisce all’oggetto che ospita il buco: non si può distinguere, in topologia elementare (quella branca della matematica che studia le proprietà delle figure e delle forme), un oggetto con un incavo da un oggetto senza incavo. La topologia consente di distinguere un oggetto forato (toro) da un oggetto senza fori (sfera), ma rimane completamente cieca dinnanzi a un oggetto caratterizzato da un incavo superficiale. D’altro canto, è del tutto elementare farlo accettando la capacità di “essere riempiti” come proprietà costitutiva dei buchi. Così facendo infatti, si sposta l’attenzione dall’oggetto ospite, al possibile oggetto riempiente: a quel corpo ideale che si adatta perfettamente all’ospite, in tutto e per tutto simile al buco, fatta eccezione per la sua materialità (e di conseguenza sulla sua impenetrabilità). Per così dire, ci si mette a pensare in negativo. Proprio le proprietà del riempimento e le sue interazioni con l’oggetto ospite diventano essenziali per la classificazione dei buchi.

David Lewis, uno dei più grandi pensatori del nostro tempo, (pioniere della teoria sulla pluralità dei mondi possibili), per spiegare l’ipotesi della sovrapposizione di stati della realtà, escogitò l’esempio di evanescenti cherubini perennemente danzanti in perfetta sovrapposizione sulla punta di uno spillo («Ad ogni istante, ciascuno occupa la stessa regione dell’altro; e tuttavia essi costituiscono due parti ben distinte del complessivo contenuto delle regioni da essi condivise»). Nel nostro caso, non occorre scomodare angeliche figure provenienti da mondi paralleli. È sufficiente pensare al nostro mondo, in cui anche ai buchi viene riconosciuta dignità individuale. Un oggetto può essere posizionato completamente all’interno di un buco, ed essere quindi totalmente connesso con esso, senza con ciò essere una sua parte. La regione occupata dall’oggetto è parte della regione occupata dal buco.

“I buchi sono immateriali, quindi compenetrabili!”.

Il filosofo John Locke aveva molto insistito su questo punto, facendone un principio metafisico da cui scaturisce immediatamente un criterio di identità per gli oggetti materiali: se l’oggetto x e l’oggetto y si trovano esattamente nella stessa regione di spazio allo stesso istante di tempo, allora x e y sono lo stesso oggetto (Saggio sull’Intelletto Umano). Tuttavia ecco subito un problema: il principio di Locke riguarda entità dello stesso tipo; ma entità di tipo diverso, possono coabitare nella stessa regione di spazio senza per questo sollevare particolari problematiche.

Non solo, non si può escludere che entità di tipo diverso possano essere localizzate nella stessa regione di spazio. Non si può neanche escludere che vi siano entità che sfuggono al principio di Locke; in quanto formulato avendo presente soprattutto la categoria degli oggetti materiali. Non si può cioè assumere che tutte le entità che sono localizzate nello spazio, occupino dello spazio, come se lo spazio fosse un grande parcheggio in cui ogni posto è riservato a un solo cliente.

A sostegno di questo, Shorter (1977) ha escogitato il caso di due nuvole intersecanti generate da due distinti “proiettori di nuvole”. Oppure, per comprendere ancora meglio, supponiamo di inserire un anello all’interno del buco in una ciambella. Come descrivere la relazione spaziale tra i due buchi? Certo non si dirà che il buco della ciambella lasci il suo posto a favore di quello nell’anello. Né diremo che il buco piccolo diventa parte del buco grande. Semplicemente, la regione occupata dal buco piccolo è parte della regione occupata dal buco grande: godono di una elegante sovrapposizione concettuale di stati.

In conclusione possiamo affermare che i buchi sono un esempio semplice e maneggevole di entità spaziali, più povere degli oggetti materiali e apprezzabilmente più ricche delle regioni di spazio.




Bibliografia: “I TRABOCCHETTI DELLA RAPPRESENTAZIONE SPAZIALE” Roberto Casati Centre National de la Recherche Scientifique Achille C. Varzi Department of Philosophy, Columbia University, New York, Pubblicato in “SISTEMI INTELLIGENTI” (1999), “LE STRUTTURE DELL’ORDINARIO” Achille C. Varzi  Department of Philosophy, Columbia University, New York, Pubblicato in Luigi Lombardi Vallauri (ed.), “LOGOS DELL’ESSERE, LOGOS DELLA NORMA, Bari: Editrice.

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