Buongiorno,
questo blog nasce dall’esigenza di archiviare e rendere disponibili informazioni, pensieri e idee (elaborate o semplicemente riportate), acquisite durante uno studio sulla filosofia zen. Considerandolo, più che una guida, una raccolta di nozioni che partendo dallo zen ne vanno oltre.
Durante il lavoro di ricerca, infatti, ho riscontrato moltissime analogie tra i concetti espressi dai vari insegnamenti spirituali e le principali scoperte in campo scientifico.
La nostra mente, invero, per snellire il lavoro di calcolo sull’enorme quantità di stimoli, provenienti sia dall’interno sia dall’esterno, sfrutta dei percorsi prestabiliti a basso dispendio energetico e di maggiore velocità di esecuzione. Tali scorciatoie, fondamentali per reagire nell’immediato alle varie situazioni, molto spesso, ci portano a conclusioni che vanno a discapito della precisione, dandoci una proiezione approssimativa e irrazionale di come in realtà le cose stanno.
I contenuti qui riportati, spero siano utili a dare uno stimolo al pensiero, lasciando ovviamente libera la facoltà di trarre le proprie conclusioni in maniera assolutamente indipendente e soggettiva.
“Un lungo viaggio, inizia sempre con il primo passo…..”
(proverbio zen).

mercoledì 23 novembre 2011

"Il libro della vita comincia con un uomo e una donna in un giardino e finisce con …..l'Apocalisse ". Oscar Wilde.

“Il Maestro e sua moglie erano ormai molto anziani. Un giorno sedevano a rimirare un meraviglioso tramonto abbracciati l’uno all’altra. Nei loro occhi c’erano la felicità e la serenità di chi aveva amato intensamente e conosciuto il vero grande amore, di chi aveva dato senza pretendere, di chi in un atto di totale fiducia, si era abbandonato nelle mani dell’altro. La moglie disse: ”Sono grata a Dio e alla Vita, per avermi guidato verso di te e per aver guidato te verso di me. Ti ho amato come me stessa e mai amore più grande vi è stato. Grazie per il tuo amore, mio caro, grazie per il tuo amore”. Il Maestro rispose: ”Quello che hai detto tu, amore mio, è ciò che volevo dire io a te. Ti amo e continuerò ad amarti anche dopo questi nostri corpi fisici”. Si guardarono intensamente negli occhi e si scambiarono un ultimo, intenso e dolce bacio, fondendosi in un reciproco sorriso. Inspirarono ed espirarono profondamente e lasciarono insieme questo palcoscenico che è il mondo. (parabola zen)



Volenti o nolenti, non possiamo negare il fatto che nel momento in cui si costruisce una coppia c'è la possibilità che ci siano delle crisi all'interno di questa. Sembra che ad un certo punto quelle che sembravano le qualità del partner, le stesse per cui si era fatta quella scelta, ora siano diventate il lato negativo del partner; si arriva a leggere proprio la caratteristica che sembrava positiva all'estremo opposto, considerandola insopportabile.

Durante la prima fase, quella dell’innamoramento, l’altro è idealizzato, appare come la persona che abbiamo sempre cercato. In realtà siamo in uno stadio profondamente narcisista, che ci porta a proiettare sulla persona che ci piace i nostri desideri e le nostre aspirazioni, vedendo soltanto quello che ci piace vedere.

I problemi di coppia cominciano quando dall’innamoramento si passa alla “fase di transizione”. In questa fase l’eccitamento di conoscere a fondo la nuova persona e la passione che caratterizza il rapporto diminuiscono o svaniscono, mentre i sentimenti divengono basati su una valutazione più realistica del partner. Si iniziano a percepire i difetti dell’altro, ed iniziano ad affiorare le differenze.

I conflitti incominciano ad emergere perché ciascuno cerca di forzare l’altro a corrispondere maggiormente ai propri desideri, mettendone alla prova la capacità di soddisfare le proprie esigenze: la disillusione è molto forte e il rapporto risulta notevolmente stressante.

 Inoltre, allo stress, si accompagna un maggiore livello di emotività, che in termini cognitivi può essere descritto come attivazione di idee irrazionali, “distorsioni cognitive”, modelli disfunzionali di elaborazione delle informazioni, con il rischio di un aumento di tensioni, conflitti e insoddisfazioni.

In questa nostra analisi cercheremo di procedere per gradi, scomponendo le varie fasi che caratterizzano un rapporto, alla ricerca dei fattori psicologici e cognitivi che ne formano le fondamenta.

COME SI SCEGLIE IL PARTNER?

Per capire meglio se, e quali, elementi di tipo sociale influiscono sulla scelta del partner si devono prendere in prestito alcuni concetti sociologici quali la struttura sociale (i tipi di gruppo, le associazioni, le istituzioni e i complessi di istituzioni che costituiscono le società), la funzione sociale e il controllo sociale (il modo in cui le strutture funzionano e si regolano dal punto di vista etico, religioso e morale) e il cambiamento sociale (l’orientamento della società ed i relativi problemi di sviluppo, stasi e declino).

Sulla base di analisi e osservazioni di tipo sociologico, si sono delineate le regole che caratterizzano l'azione del gruppo rispetto ad una scelta.

Esse consistono nel: 1)sviluppare un sistema comune di valori; 2)far sì che i membri del gruppo possano influenzarsi a vicenda; 3)arrivare ad una decisione comune; 4)risolvere le tensioni che si possono creare.

Di queste norme alcune sono esplicite, altre implicite e vengono trasmesse attraverso le regole di comunicazione e i giochi relazionali. In questa prospettiva si può arrivare ad una soddisfacente analogia (magari solo allusiva), anche nella scelta del partner.

Un altro elemento che caratterizza la scelta del partner potrebbe essere collegato alle remote vicende personali che hanno caratterizzato le esperienze infantili.

John Bowlby per primo ha sottolineato l'importanza dello schema di attaccamento che si struttura nel bambino e persiste nell'adulto. Bowlby ha identificato non solo il processo di costruzione dello stile di attaccamento, ma ha evidenziato la costruzione di un'attenzione o disattenzione selettiva che, nell'ottica della scelta del partner, viene ad assumere un ruolo molto importante.

Facendo riferimento a questo concetto, la scelta del partner è un gioco di "vuoti " e di "pieni”, cioè un alternarsi di attenzione selettiva ad alcune caratteristiche del partner e una disattenzione altrettanto selettiva per quegli elementi che potrebbero interferire nella stabilità della relazione. 

Altro elemento cardine, è l’icona della “rappresentazione familiare” radicata nell’individuo. L'influenza del mito familiare è maggiore o minore proprio in funzione del livello di differenziazione che la persona ha raggiunto rispetto alla famiglia di origine. La scelta del partner è infatti il mezzo principale di edificazione/ trasmissione del mito familiare.



La scelta del partner non comprende solo due persone ma sottintende una struttura di tipo triangolare: IO - TU - GLI ALTRI, intendendo per altri tutto ciò che ha caratterizzato la propria crescita e i processi evolutivi di separazione e individuazione. Quindi la scelta del partner, in apparenza libera e spontanea, acquista senso solo se riletta attraverso i miti individuali della coppia e della famiglia. Silvia Veggetti Finzi(1994) sottolinea come sia importante osservare quali sono i principali profili caratterizzanti delle coppie che si sono scelte per la costruzione di una famiglia.

Esistono cinque tipologie cardine:

"la moglie come madre"

"il marito come padre"

"la moglie come padre"

"il marito come madre"

"i coniugi come fratelli"

La moglie come madre : in questa tipologia l'uomo cerca nella moglie la madre, quella immaginaria, fortemente idealizzata e quindi ben poco corrispondente alla reale. In certi casi limite la figura della madre è talmente idealizzata che alcuni uomini non riescono comunque a trovarne un sostituto soddisfacente. Questa è l’ipotesi dello "scapolo a vita" che dice di non aver trovato mai la donna giusta, o che comunque, si rivolge sempre alle donne meno adatte al suo scopo. Incontrerà la bambina, l'avventuriera, la sposata, figure in genere lontane dall'idea del focolare domestico; anche nel caso in cui trovasse la donna materna farà di tutto per perderla vedendo in lei la minaccia della sostituzione della figura materna idealizzata. La figura della madre così mitizzata è colei che deve dare tutto senza chiedere nulla in cambio. Il risultato di questa coppia può anche essere funzionale, (come diceva Freud), il quale vedeva nella trasformazione della moglie in madre il fattore principale della stabilità coniugale. Al contrario alcune donne vi scorgono un grande pericolo soprattutto nella vita sessuale della coppia, relativa alla difficoltà del ruolo di donna-mamma.

Il marito come padre : come per l'uomo, la donna si trova a cercare nel partner la figura paterna, suo primo oggetto d'amore eterosessuale, ma con meno forza che nel caso precedente in quanto anche per la donna il primo attaccamento emotivo si è avuto con la madre. Ogni marito comunque si ritrova ad essere confrontato con il padre della partner e in particolare con modelli interiorizzati di responsabilità, sicurezza, autorità e potere. Anche in questo caso il confronto tra il padre e il partner si gioca in un mondo fantastico in cui l'estrema idealizzazione del padre produce un' esagerazione delle aspettative che difficilmente possono essere soddisfatte. Diventa quindi una sfida in cui la donna, condotta in un processo di infantilizzazione, incita il proprio compagno a superare il padre portandolo a cadere nel vortice della ricerca della perfezione.

La moglie come padre : ci sono uomini che attribuiscono alla propria moglie una funzione paterna. In questo caso di solito la moglie ha più anni del marito e riveste un ruolo sociale e culturale più elevato del marito, oppure ha una struttura di personalità rigida e normativa. A questa “donna-moglie-padre” vengono affidati compiti tipici della figura paterna: la sicurezza economica, la responsabilità della casa e della gestione familiare, l' amministrazione del reddito familiare.

Il marito come madre : in coppie in cui si stabilisce questa relazione di solito si incontrano una donna desiderosa di affetto con un uomo che ama svolgere il ruolo materno per un' invidia inconscia della figura materna. Si tratta della ricerca da parte delle donne della stessa soddisfazione di cui abbiamo parlato nella prima tipologia, solo che in questo caso, essendoci un sovvertimento dell'ordine prevalente nella società, può risultare dissonante ed essere additato come "strano".

I coniugi come fratelli : alcune coppie non volendosi impegnare in relazioni così impegnative come quelle descritte decidono di impegnarsi in una relazione più semplice, quale quella dell'amicizia e della fratellanza. In questo tipo di coppia non c'è neanche bisogno di convivere, spesso si dorme in stanze separate e non si condividono spazi comuni. La sessualità è di tipo infantile e non è l'elemento centrale: al contrario di solito si condivide più una passione esterna, che è l'elemento che mantiene unita la coppia. I motivi che spingono queste coppie ad unirsi sono svariati: si può pensare ad un conflitto edipico irrisolto o ad un forte investimento narcisistico su di sé.



PERCHE’ UNA STORIA FINISCE, UN AMORE MUORE, UN MATRIMONIO FALLISCE?



Si possono cercare molte spiegazioni e trovare molte griglie di lettura: ma è importante capire che è rilevante  (per apprendere dall’esperienza)  analizzare alcune ipotesi di ricerca dell’evento "separazione". Fra i molti approcci possibili, se ne propongo tre: uno d’ispirazione psicanalitica, l’altro più legato alla ricerca empirica, il terzo (infine) di tipo storico-evolutivo.



Approccio d'ispirazione psicanalitica.

Si può sottintendere l’idea che la disfunzionalità della coppia sia da collegare a “immaturità evolutiva”, o a vera e propria “patologia”, per il prevalere dei giochi inconsci nel rapporto; ecco brevemente la tipologia mutuata da questa ottica:

Il primo tipo di relazione è la cosiddetta "collusione narcisistica ". In questo rapporto l’amore è inteso prevalentemente in funzione simbiotica, "amore come essere uno ", e comporta abitualmente un partner schizoide. L’unione simbiotica è un rapporto sado-masochista (dove il più forte fagocita il più debole) e in cui va perduta l’identità e la "dualità" della coppia (l’essere noi). La relazione matura comporta invece una unione nella distinzione, il rispetto dell’altro come dissimile, l’accettazione della diversità, ecc.

Un secondo tipo di relazione è la cosiddetta "collusione orale ". Qui l’amore è concepito come "aver cura dell’altro". E’ un amore di tipo materno, che comporta un partner a struttura depressiva, auto-negazionista. L’amore maturo invece è caratterizzato da mutualità, reciprocità, essere contemporaneamente soggetto e oggetto nella relazione; non solo capacità di dare, ma anche di ricevere.

Un terzo tipo di relazione è la cosiddetta "collusione sadico-anale ". Qui l’amore è inteso come possesso totale ; l’oggetto dell’amore è considerato proprio dominio e tenuto continuamente sotto il proprio controllo. Questa relazione comporta un partner a struttura ossessiva. L’amore maturo invece è caratterizzato da libertà, autonomia, fiducia. Mutualità, interdipendenza reciproca di due soggetti indipendenti e liberi.

Un quarto tipo di relazione è la cosiddetta "collusione fallico-edipica " dove l’amore è vissuto soprattutto come autoaffermazione antagonista (virile) e il partner è vissuto sostanzialmente come rivale e luogo della propria affermazione. Questa relazione contempla un partner a struttura isterica. L’amore maturo è caratterizzato invece da solidarietà, compartecipazione, parità di possibilità di autorealizzazione al cento per cento. Senza eccessiva competitività.

 La mancata evoluzione verso un rapporto d’amore più maturo può condurre alla crisi di coppia.



Approccio legato alla ricerca empirica.

In questo approccio, è sottintesa l’idea che molto spesso le relazioni falliscano perché la scelta è stata fatta in base a quello che conta di più nell’immediato e non a quello che conta di più nel lungo periodo.

Sternberg , Professore di psicologia e pedagogia a Jale, ha teorizzato, suffragato da alcune sue recenti ricerche, un concetto di amore completo , sulla base di tre componenti fondamentali: “l’impegno” come componente cognitiva, “l’intimità” come componente emotiva e la “passione” come componente motivazionale dell’amore.



Da questa teoria scaturisce una tipologia collegata alla combinazione dei tre diversi fattori, dando luogo a otto possibili tipi di relazione.

La prima è "l’assenza di amore ": tutte e tre le componenti mancano; è la situazione della grande maggioranza delle nostre relazioni personali, casuali o funzionali.

Il secondo tipo è la "simpatia ". C’è solo l’intimità , si può parlare con una persona, parlare di noi, ci si riferisce ai sentimenti che si provano in una autentica amicizia e comporta cose come la vicinanza, il calore umano (ma non i sentimenti forti della passione e dell’impegno).

Il terzo tipo è "l’infatuazione ": quando c’è solo la passione . Quell’amore a prima vista che può nascere all’istante e svanire con la stessa rapidità. Vi interviene una intensa eccitazione fisiologica, ma senza intimità o impegno . La passione è come una droga, rapida a svilupparsi e rapida a spegnersi, brucia alla svelta e dopo un po’ non fa più l’effetto che si voleva: ci si abitua, arriva l’assuefazione.

"L’amore vuoto " è il quarto tipo di relazione, dove l’impegno è privo di intimità e di passione : tutto quello che rimane è l’impegno a restare insieme. Un rapporto stagnante che si osserva talora in certe coppie sposate da molti anni: un tempo c’era l’intimità, ma ormai non si parlano più; c’era la passione, ma anche quella si è spenta da un pezzo.

"L’amore romantico " è una combinazione di intimità e di passione (tipo Giulietta e Romeo). Più di una infatuazione, è vicinanza e simpatia, con l’aggiunta dell’attrazione fisica e dell’eccitazione, ma senza l’impegno, come un’avventura estiva che si sa che finisce.

"Amore fatuo " è quello che comporta la passione e l’impegno, ma senza intimità . E’ l’amore da fotoromanzo: i due si incontrano, dopo una settimana sono fidanzati, e dopo un mese si sposano. S’impegnano reciprocamente in base all’attrazione fisica., ma dato che l’intimità ha bisogno di tempo per svilupparsi, manca il nucleo emotivo su cui può reggersi l’impegno. E’ un tipo d’amore che di solito non dà buon esito nel lungo periodo.

"Sodalizio d’amore " è chiamato un rapporto d’intimità e impegno reciproco, ma senza passione . E’ come un’amicizia destinata a durare nel tempo. Quel tipo di amore che spesso si osserva nei matrimoni dove l’attrazione fisica è scomparsa.

Infine, quando tutti e tre gli elementi si combinano in una relazione, abbiamo quello che Sternberg chiama "amore perfetto o completo ". Raggiungere un perfetto amore, dice quest’autore, è come cercare di perdere un po’ di peso, difficile ma non impossibile; la cosa davvero ardua è mantenere il peso forma una volta che ci si è arrivati o tenere in vita un amore completo quando lo si è raggiunto. E’ un compito aperto, non una tappa raggiunta una volta per tutte.

In questa visione, l’indice più valido per predire la felicità di una relazione è dato dalla consonanza tra i sentimenti che si desiderano dall’altro e i sentimenti che si presuppongono dall’altro. La relazione tende a finir male se non c’è corrispondenza tra quello che si vuole dall’altro e quello che si pensa di riceverne: chiunque ha amato senza essere ricambiato altrettanto, sa quanto può essere frustrante.

 Il fatto è che sceglie troppo spesso in base a quello che conta di più nell’immediato. Ma quello che conta nel lungo periodo è diverso: i fattori che contano cambiano, cambiano le persone e cambiano le relazioni.

Nella ricerca fatta sui fattori che tendono a diventare più importanti con l’andare del tempo, si sono rilevati questi tre:

La disponibilità a cambiare in funzione delle esigenze dell’altro.

La disponibilità ad accettare le sue imperfezioni.

La comunanza di valori.



 Approccio storico-evolutivo.

Questo approccio, per capire la crisi di coppia, è stato sviluppato dal Prof. Mario Bertini dell’Università di Roma.

L’idea che guida questa analisi è che la coppia tradizionale spesso entra in crisi e può morire a motivo della forte contrattualità , statica e consumistica, che sta alla base del rapporto: un disegno di norme latenti che modellano il legame stesso.

Bertini fa notare che storicamente, superato il modello di tipo vittoriano dell’epoca precedente (rigidità dei ruoli e soggezione globale della donna), tra le due guerre, si è venuto affermando un modello apparentemente (e in parte obiettivamente) liberatorio , ma portante alla base, attraverso le varie ideologie post-freudiane e il consumismo capitalistico, una “contrattualità bloccante”

.E’ la cultura romantica dei fiori bianchi, dell’abito bianco di nozze, della fedeltà promessa, della felicità pattuita dello stare insieme... E’ come se la coppia dicesse: "Dopo tanto laborioso cammino, finalmente siamo approdati a questo meraviglioso giardino recintato dove tutto si può godere. Protetti dal nostro amore e dalla consistenza del “contratto”. Il compito che ci sta davanti è finalmente quello di godere “consumando” insieme tutto. Quello che ci viene chiesto è solo di rispettare le regole, di non uscire dal recinto, e di sacrificarsi l’uno per l’altro , sicuri che l’amore riuscirà a far superare ogni ostacolo".

E’ un atteggiamento di base dettato dal consumismo nella cultura odierna. E’ una visione statica ispirata all’ideologia del mercato, che fa del matrimonio (invece che una fase cruciale per lo sviluppo della persona), un punto di stasi , entro cui godere e consumare dei vantaggi acquisiti.

 Alla radice della logica conservatrice, si nasconde la paura come molla che blocca il progresso della persona. Paura di lasciarsi andare fluidamente nel gioco rischioso della libertà: paura di abbandonare le vecchie certezze, paura di affrontare lo sviluppo senza rischiarsi verso nuovi orizzonti creativi.

L’evoluzione, la realizzazione della persona, non si attua tuttavia nel vuoto: l’uomo cambia ed evolve in un rapporto di coesione con gli altri. Il bisogno di coesione è fondante lo sviluppo a patto che avvenga nella dimensione della mutualità . La mutualità può essere concepita come una relazione in cui due membri dipendono l’uno dall’altro per lo sviluppo delle rispettive potenzialità (interdipendenza). Questo principio ci fa capire che non è tanto nella misura in cui uno dà o si mortifica per l’altro, ma nella misura piuttosto in cui uno si "realizza" nel rapporto con l’altro. Il contrario della mutualità è la pretesa che l’altro cambi senza il rischio partecipativo del proprio cambiamento nel rapporto stesso.

La garanzia quindi dello sviluppo sembra fondarsi in relazioni di reciprocità, in cui al di fuori di ogni logica prevaricatrice, la realizzazione di sé passa attraverso la realizzazione dell’altro e viceversa. Queste sono due chiavi normative ideali che possono innovare profondamente il rapporto di coppia: accettazione della vita come processo continuo di innovazione nella speranza e convinzione che la crescita autentica non avviene se non nel rispetto della mutualità . Accettazione della vita non come processo statico di accrescimento, ma come processo dinamico di innovazione nella mutualità : questo schema di lettura ci consente di prendere coscienza di ciò che è morto nel modello tradizionale di relazione di coppia e di individuare le linee emergenti di un significativo salto evolutivo. E’ in questa luce che andranno rivisti i concetti stessi di fiducia, di sessualità, di ruolo, di uguaglianza nella coppia.

Concludendo, l’amore si ha quando si riconosce l’esistenza dell’altra persona come diversa da sé e dall’immagine “proiettata” creata dal soggetto stesso. Per poter vivere, l’amore deve essere costruito ed alimentato, perché non è fatto solo di sentimento, di sensazioni, ma anche di volontà e di impegno, è come una pianta che ogni giorno deve essere innaffiata per poter dare i suoi frutti. I sentimenti travolgenti dell’iniziale innamoramento diventano più tenui ma più profondi, l’amore adempie a quella promessa di eternità che l’innamoramento non può dare, in quanto il rapporto con l’amore non è più illusorio, ma reale. Mentre l’innamoramento è la fusione di momenti, l’amore è la sintesi di due storie di vita.




BIBLIOGRAFIA: “L’innamoramento” di Debora Pasca (Istituto Italiano di Sessuologia Scientifica e Psicologia. “Sulla coppia e l’innamoramento” – Psicologia dell’evoluzione- Dott. Cesare De Monti. “Come si sceglie il partner” Dott.ssa Anna Pitrone, Facoltà di Psicologia università “La Sapienza” Roma.

giovedì 10 novembre 2011

..."UNA RETE, NON E' NIENT'ALTRO CHE UNA SERIE DI BUCHI TENUTI INSIEME DA UN FILO"... Karl Wallenda.

Le relazioni spaziali tra gli oggetti che ci circondano nel nostro microcosmo quotidiano, nel macroambiente delle posizioni geografiche e le proprietà spaziali di tali oggetti (come forma e dimensione), sono un tema di ricerca privilegiato per quei settori delle scienze cognitive che mirano a rappresentare fedelmente le risorse delle facoltà umane.

Gran parte del nostro comportamento è descrivibile in termini spaziali: pianifichiamo azioni, cerchiamo di eseguirle secondo i nostri piani (eventualmente superando ostacoli imprevisti), ne controlliamo lo svolgimento attraverso un sofisticato sistema percettivo che, evidentemente, dispone di una componente non secondaria per la rappresentazione spaziale e il riconoscimento delle forme (possiamo parlare di quel che percepiamo come organizzato spazialmente, e riusciamo ad immaginare una situazione spaziale sulla base di una descrizione verbale).

Questi comportamenti, spesso, sono coadiuvati da ragionamenti e deduzioni: "Se il cucchiaio è nella tazza e la tazza è nella credenza, il cucchiaio è nella credenza".Se ci si chiede di accertare se il cucchiaio è effettivamente nella credenza, abbiamo bisogno di comprendere quello che ci viene chiesto, di progettare un’azione di verifica, di osservare una certa relazione spaziale, di produrre una certa conclusione, e, il contenuto di queste diverse competenze deve poter fluire dall’una all’altra attività mantenendosi (abbastanza) invariato.

Proveremo ora a chiarire questi concetti, prendendo come riferimento il bizzarro esempio fornitoci dalla singolare eccentricità dei “buchi”.

Questo paradosso si verifica quando la parte di un tutto possiede solo caratteristiche in negativo, ossia consiste in una non esistenza. Un buco non ha una realtà in se, non ha una componente fisica: è immateriale!  Appare come una sistematica illusione visiva, un’entità parassitaria, (non è nulla ma ha bisogno di un tutto per esistere).

I buchi sembrano appartenere alla nostra vita quotidiana almeno tanto quanto il groviera. Ma cosa sono? Come li si può pensare?, di cosa sono fatti? Molte delle operazioni che effettuiamo nello spazio hanno a che fare, in un modo o nell’altro, con buchi di tutti i tipi. Vi nascondiamo dentro delle cose, ve ne facciamo passare attraverso delle altre, li riempiamo, li svuotiamo, li usiamo per tenere fissi certi oggetti, e via dicendo. In molti casi, il concetto stesso che abbiamo di determinati oggetti (come i colapasta o lo stesso groviera) sembra evocare l’idea di qualcosa che è intrinsecamente bucato.

D’altro canto, i buchi, costituiscono un perfetto esempio di entità che i filosofi hanno cercato ( causa la loro inadeguata componente fisica) di espellere dall’elenco degli oggetti che fanno parte del mondo. Il “modus operandi” di questa strategia è stato quello di dimostrare che ogni descrizione del mondo che fa riferimento implicito o esplicito a queste entità ("C’è un buco in quel pezzo di formaggio") può essere parafrasata con pari potere espressivo da una descrizione che non vi fa riferimento ("Quel pezzo di formaggio è bucato"). Si tratta di un artifizio abbastanza comune, nelle sue linee generali, e nel caso dei buchi, sembra suggerirsi da solo.

Nel trattare questo settore delle rappresentazioni spaziali, abbiamo deciso di assegnare ai buchi una dignità metafisica. In questo naturalmente ci allineiamo sulle posizioni del senso comune, per cui i buchi sono entità individuali (per quanto strane) al pari dei tavoli e delle sedie. È un atteggiamento ben diverso da quello che possiamo assumere ad esempio nei confronti di essenze astratte come  i numeri, verso i quali, riusciamo ugualmente ad avanzare una posizione di realismo.

I buchi sembrano entrare nel nostro mondo con la massima naturalezza, perché, se esistono,ne possiedono anche le caratteristiche: sono localizzati spazio-temporalmente, nascono, crescono e muoiono. In breve: i buchi hanno un arco vitale come tutti gli individui che si rispettino.

Detto questo, la tesi su cui abbiamo lavorato è che i buchi siano oggetti immateriali, fatti di spazio, dotati di forma e dimensione, la cui proprietà costitutiva è la idoneità al riempimento. Dalla considerazione che i buchi sono oggetti immateriali segue che la loro identità è un fattore puramente visivo; di fatto, essa dipende dall’oggetto che ospita il buco: i buchi sono dei parassiti, per così dire, incapaci per natura di vita autonoma. Dal presupposto della costituzione spaziale dei buchi segue che essi posseggono una struttura descrivibile in termini di relazioni “parte-tutto”. Forma, dimensione e idoneità al riempimento, sono elementi che contribuiscono inoltre a fornire una classificazione dei buchi in tre categorie principali: incavi superficiali, fori, e cavità interne.

Non di secondaria importanza, risulta la constatazione che si ottiene seguendo la tesi del senso comune, secondo cui, queste tre classi formano tre specie di un unico genere.

È qui, infatti, che cominciano ad apparire i primi vantaggi derivati dell’approccio realista nei confronti di quello rigido filosofico finalizzato alla estromissione, di cui accennavamo sopra.

Senza entrare nei dettagli dell’argomentazione, diciamo semplicemente che è impossibile ottenere un risultato analogo se ci si riferisce all’oggetto che ospita il buco: non si può distinguere, in topologia elementare (quella branca della matematica che studia le proprietà delle figure e delle forme), un oggetto con un incavo da un oggetto senza incavo. La topologia consente di distinguere un oggetto forato (toro) da un oggetto senza fori (sfera), ma rimane completamente cieca dinnanzi a un oggetto caratterizzato da un incavo superficiale. D’altro canto, è del tutto elementare farlo accettando la capacità di “essere riempiti” come proprietà costitutiva dei buchi. Così facendo infatti, si sposta l’attenzione dall’oggetto ospite, al possibile oggetto riempiente: a quel corpo ideale che si adatta perfettamente all’ospite, in tutto e per tutto simile al buco, fatta eccezione per la sua materialità (e di conseguenza sulla sua impenetrabilità). Per così dire, ci si mette a pensare in negativo. Proprio le proprietà del riempimento e le sue interazioni con l’oggetto ospite diventano essenziali per la classificazione dei buchi.

David Lewis, uno dei più grandi pensatori del nostro tempo, (pioniere della teoria sulla pluralità dei mondi possibili), per spiegare l’ipotesi della sovrapposizione di stati della realtà, escogitò l’esempio di evanescenti cherubini perennemente danzanti in perfetta sovrapposizione sulla punta di uno spillo («Ad ogni istante, ciascuno occupa la stessa regione dell’altro; e tuttavia essi costituiscono due parti ben distinte del complessivo contenuto delle regioni da essi condivise»). Nel nostro caso, non occorre scomodare angeliche figure provenienti da mondi paralleli. È sufficiente pensare al nostro mondo, in cui anche ai buchi viene riconosciuta dignità individuale. Un oggetto può essere posizionato completamente all’interno di un buco, ed essere quindi totalmente connesso con esso, senza con ciò essere una sua parte. La regione occupata dall’oggetto è parte della regione occupata dal buco.

“I buchi sono immateriali, quindi compenetrabili!”.

Il filosofo John Locke aveva molto insistito su questo punto, facendone un principio metafisico da cui scaturisce immediatamente un criterio di identità per gli oggetti materiali: se l’oggetto x e l’oggetto y si trovano esattamente nella stessa regione di spazio allo stesso istante di tempo, allora x e y sono lo stesso oggetto (Saggio sull’Intelletto Umano). Tuttavia ecco subito un problema: il principio di Locke riguarda entità dello stesso tipo; ma entità di tipo diverso, possono coabitare nella stessa regione di spazio senza per questo sollevare particolari problematiche.

Non solo, non si può escludere che entità di tipo diverso possano essere localizzate nella stessa regione di spazio. Non si può neanche escludere che vi siano entità che sfuggono al principio di Locke; in quanto formulato avendo presente soprattutto la categoria degli oggetti materiali. Non si può cioè assumere che tutte le entità che sono localizzate nello spazio, occupino dello spazio, come se lo spazio fosse un grande parcheggio in cui ogni posto è riservato a un solo cliente.

A sostegno di questo, Shorter (1977) ha escogitato il caso di due nuvole intersecanti generate da due distinti “proiettori di nuvole”. Oppure, per comprendere ancora meglio, supponiamo di inserire un anello all’interno del buco in una ciambella. Come descrivere la relazione spaziale tra i due buchi? Certo non si dirà che il buco della ciambella lasci il suo posto a favore di quello nell’anello. Né diremo che il buco piccolo diventa parte del buco grande. Semplicemente, la regione occupata dal buco piccolo è parte della regione occupata dal buco grande: godono di una elegante sovrapposizione concettuale di stati.

In conclusione possiamo affermare che i buchi sono un esempio semplice e maneggevole di entità spaziali, più povere degli oggetti materiali e apprezzabilmente più ricche delle regioni di spazio.




Bibliografia: “I TRABOCCHETTI DELLA RAPPRESENTAZIONE SPAZIALE” Roberto Casati Centre National de la Recherche Scientifique Achille C. Varzi Department of Philosophy, Columbia University, New York, Pubblicato in “SISTEMI INTELLIGENTI” (1999), “LE STRUTTURE DELL’ORDINARIO” Achille C. Varzi  Department of Philosophy, Columbia University, New York, Pubblicato in Luigi Lombardi Vallauri (ed.), “LOGOS DELL’ESSERE, LOGOS DELLA NORMA, Bari: Editrice.