Buongiorno,
questo blog nasce dall’esigenza di archiviare e rendere disponibili informazioni, pensieri e idee (elaborate o semplicemente riportate), acquisite durante uno studio sulla filosofia zen. Considerandolo, più che una guida, una raccolta di nozioni che partendo dallo zen ne vanno oltre.
Durante il lavoro di ricerca, infatti, ho riscontrato moltissime analogie tra i concetti espressi dai vari insegnamenti spirituali e le principali scoperte in campo scientifico.
La nostra mente, invero, per snellire il lavoro di calcolo sull’enorme quantità di stimoli, provenienti sia dall’interno sia dall’esterno, sfrutta dei percorsi prestabiliti a basso dispendio energetico e di maggiore velocità di esecuzione. Tali scorciatoie, fondamentali per reagire nell’immediato alle varie situazioni, molto spesso, ci portano a conclusioni che vanno a discapito della precisione, dandoci una proiezione approssimativa e irrazionale di come in realtà le cose stanno.
I contenuti qui riportati, spero siano utili a dare uno stimolo al pensiero, lasciando ovviamente libera la facoltà di trarre le proprie conclusioni in maniera assolutamente indipendente e soggettiva.
“Un lungo viaggio, inizia sempre con il primo passo…..”
(proverbio zen).

venerdì 12 agosto 2011

 . . . Perchè una realtà non ci fu data e non c’è; ma dobbiamo farcela noi, se vogliamo essere; e non sarà mai una per sempre, ma di continuo e infinitamente mutabile. . .Luigi Pirandello.

Quando nell’ambiente in cui ci troviamo avviene un qualche cambiamento, come la comparsa di un oggetto, la presentazione di un suono, o la diminuzione della luminosità e così via, i nostri organi di senso registrano questi nuovi stimoli e li trasmettono al cervello. Ogni sistema sensoriale è però in grado di registrare soltanto una determinata forma di energia fisica (intensità, frequenza, lunghezza d’onda ecc.); per esempio il sistema visivo è sensibile all’energia luminosa o, più correttamente, alla luce riflessa da un oggetto (energia elettromagnetica). Quando la luce del sole (detta anche luce bianca) illumina un oggetto, si danno tre casi interessanti: uno, tutto lo spettro viene riflesso, e l’oggetto appare bianco; due, tutto lo spettro viene assorbito, e l’oggetto appare nero; tre, una parte dello spettro viene assorbita e l’altra riflessa, e l’oggetto appare del colore della luce riflessa. Ciò che viene assorbito non può raggiungere l’occhio, e quindi non può essere visto. I diversi sistemi sensoriali devono tradurre la forma di energia registrata in impulsi nervosi che rappresentano “l’unico linguaggio che il cervello è in grado di comprendere”.

Attenzione:quando parliamo di colore della luce riflessa (e anche quando parliamo di luce rossa o blu) non dobbiamo cadere nell’errore di pensare che i raggi luminosi siano di per sé colorati; essi non sono certo più colorati delle onde radio o dei raggi X. Il colore è legato alla capacità di certi raggi di produrre determinate risposte nel nostro sistema nervoso. Strettamente parlando, è scorretto dire che il pomodoro è rosso; dovremmo invece dire che il pomodoro evoca una sensazione che la maggior parte della gente chiama “rosso”. Per concludere, gli oggetti appaiono colorati perché la luce che riflettono viene catturata da un occhio (e un sistema nervoso) fatti in un certo modo. Siccome alcune persone hanno occhi (o sistemi nervosi) anomali, le loro esperienze del colore e delle sensazioni in genere possono risultare diversissime da quelle della maggior parte di noi.



Il processo attraverso il quale i diversi tipi di energia fisica vengono tradotti in segnali nervosi è la “trasduzione”. Attraverso la trasduzione, il cambiamento ambientale registrato dall’organo di senso e tradotto in un segnale bioelettrico, viene trasmesso al cervello. E’ a questo punto che possiamo provare una sensazione del cambiamento ambientale cui abbiamo assistito.

Nella loro funzione di registrazione e traduzione degli stimoli esterni, i nostri organi di senso sono però vincolati da alcuni limiti.

Il primo è legato al fatto che ogni sistema sensoriale è in grado di cogliere e registrare soltanto il tipo di energia al quale è sensibile. Ne consegue che molti stimoli sono presenti nell’ambiente ma non possono essere avvertiti perché i nostri sistemi sensoriali non sono in grado di rilevarli; si  pensi per esempio agli ultrasuoni o alle onde elettromagnetiche, nelle quali siamo immersi per permettere il funzionamento di cellulari e altri apparati elettronici, ma che non possiamo in gran parte percepire.

Un secondo limite si riferisce invece all’intensità dello stimolo; per poter essere registrato dagli organi di senso lo stimolo deve essere sufficientemente intenso. Ciò significa che la nostra sensibilità ha dei limiti al di sotto dei quali lo stimolo non viene avvertito. Questo limite viene definito “soglia assoluta”. Più precisamente, la soglia assoluta è il livello minimo di intensità che uno stimolo deve avere per essere colto nel 50% dei casi.

Per ciascuno dei 5 sensi sono definite su base empirica delle soglie assolute di percezione:
Vista: percezione della luce di una candela a 48 km di distanza, in una notte serena e limpida.
Udito: percezione di un orologio meccanico a 6 metri di distanza all'interno di una stanza silenziosa.
Gusto: un cucchiaino di zucchero in 7,5 litri di acqua.
Olfatto: una goccia di profumo in un appartamento di tre stanze.
Tatto: la pressione generata dall'ala di un'ape fatta cadere da 1 cm di altezza.

Gli stimoli di intensità superiore saranno quindi rilevati sempre, quelli di intensità inferiore non saranno mai avvertiti, mentre quelli coincidenti con il valore di soglia saranno avvertiti mediamente una volta su due.

Un altro limite del sistema sensoriale si riferisce alla capacità da parte di ogni singolo organo di senso di cogliere una variazione di intensità dello stimolo. Per esempio se un suono “soprasoglia” ci genera una sensazione e subito dopo lo stesso suono viene aumentato di un solo decibel, saremo oppure no in grado di differenziare i due suoni riconoscendoli come diversi?

Anche di questo si sono occupati gli psicologi, che attraverso misurazioni sono giunti a definire la “soglia differenziale”, ossia quella differenza minima di intensità che due stimoli devono avere per essere avvertiti nel 50% dei casi.

Nel 1934 Ernst Heinrich Weber evidenziò che la “soglia differenziale” (o differenza appena rilevabile) di ogni stimolo è una frazione costante dell’intensità dello stimolo iniziale.

Ad esempio, è stato misurato che la costante di Weber riguardo alla stima del peso è di 0,02.  Per un peso iniziale di 1kg  la soglia differenziale sarà quindi di 20 grammi. Ciò sta a significare che se ci viene posto un oggetto pesante 1kg sulla mano, e subito dopo un altro identico ma di diverso peso e ci viene chiesto di giudicare se i due oggetti sono di pesantezza uguale o diversa, per poter rilevare una diversità, il secondo oggetto deve essere di almeno 20 grammi più pesante o più leggero del primo in ragione della costante di 0,02.

In pratica la legge di Weber dimostra che più grande è uno stimolo (o più luminoso, più forte, più intenso…) maggiore sarà la differenza necessaria rispetto ad un altro stimolo per essere rilevata.

Alcuni anni più tardi, Gustav Fechner cercò di verificare di quanto variasse la sensazione (componente psicologica) al variare dell’intensità (componente fisica). Egli poté stabilire che la variazione di uno stimolo è percepita in misura minore quando l’intensità di partenza di tale stimolo è elevata: mentre l’intensità dello stimolo aumenta in maniera geometrica, la sensazione corrispondente da noi percepita aumenta in progressione aritmetica.

La legge di Fechner generalizza una intuizione che probabilmente molti di noi hanno sperimentato di persona. Se siamo nella nostra auto fermi a un semaforo e ad un tratto sentiamo il suono di un clacson, lo avvertiremo in maniera molto netta, o in altre parole, ci provocherà una sensazione molto intensa. Se però anche un secondo automobilista inizierà a suonare, il suono del secondo clacson non ci provocherà una sensazione di intensità doppia rispetto alla precedente, tantomeno un terzo  che si unisca ai primi due non darà una sensazione tre volte  più acuta. Continuando nell’esempio, non saremmo assolutamente in grado di percepire la differenza provocata dal suono di un clacson che si unisse ad altri cento.

Dire che la percezione è “percezione di differenze” significa che, nel caso “estremo” di una stimolazione costante, omogenea ed indifferenziata nello spazio e nel tempo si accompagna ad un’assenza di percezione. La percezione in condizioni naturali, ovviamente, offre questo tipo di esperienze in situazioni estremamente rare. L’imput sensoriale della nostra esperienza del mondo è quasi sempre articolato e differenziato, e questo garantisce che noi si possa percepire quel che ci circonda in modo efficace e funzionale alla sopravvivenza.



Bibliografia: “I processi cognitivi” di Roberto Nicoletti e Rino Rumiati il Mulino edizioni, “Il colore della luna”  di Paola Bressan editori Laterza, Portale di scienze psicologiche Università di Chieti.

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